Nel futuro ci saranno sempre più canali di finanziamento alternativi a quello bancario. Anche nel nostro Paese: noi lo sappiamo, in quanto startupper in un settore che fa del credito alternativo alle imprese la sua missione. Ci sono inoltre dati evidenti di quanto la diversificazione delle fonti di credito possa funzionare come stimolo alla crescita delle imprese. A maggior ragione in un contesto come quello italiano, dominato da micro-aziende che si finanziano per l’85% attraverso le banche e in cui fanno fatica ad attecchire anche formule come quella dei minibond. Ma assume tutto un altro valore se ad affermare che nel futuro ci sarà meno banca nel credito alle imprese è il direttore generale di Bankitalia Salvatore Rossi.
“Vorremmo”, si legge in un documento pubblicato sul sito della banca centrale che riporta l’intervento di Rossi alla recente Giornata del Credito organizzata da Abi, “che le imprese ricorressero di più ai mercati e meno agli intermediari, e tra questi si rivolgessero meno alle banche. Queste ultime potrebbero paradossalmente trovare in un dimagrimento del loro ruolo il modo di tornare a fare profitti, per remunerare un capitale che sta crescendo.”
Qualcosa nel sistema sta già cambiando e lo dimostra il fatto che “dal 2011 la quota di titoli obbligazionari sul totale dei debiti finanziari è aumentata di 5 punti percentuali, al 12 per cento; quella dei prestiti concessi dalle banche italiane si è ridotta circa in egual misura, al 61 per cento.” Ma è ancora troppo poco, secondo Rossi, come pochi sono i 140 minibond emessi da altrettante imprese, poco sviluppato il venture capital ed embrionale il sistema delle Spac (società veicolo che si quotano in Borsa con l’obiettivo di acquisire un target da lasciare sul listino al suo posto). Tutti segnali positivi, ma che necessitano di essere consolidati. Non cita il p2p lending (sarebbe forse troppo!), ma Rossi parla della “apertura delle imprese agli investitori esterni e lo sviluppo di un’industria finanziaria non bancaria” come “gli obiettivi principali del progetto del capital markets union”, ovvero il mercato comune europeo dei capitali. Insomma è possibile centrare l’obiettivo, a patto che le imprese accrescano “il grado di trasparenza della gestione, migliorino la qualità della governance, presentino bilanci e piani industriali equilibrati e credibili.” Occorre dunque “operare un profondo cambiamento culturale, che passi anche attraverso l’acquisizione di nuove competenze finanziarie e lo sviluppo di relazioni con investitori che hanno esigenze molto diverse da quelle di una banca tradizionale.”
Questo passo in avanti delle aziende farebbe bene anche al sistema bancario, che è ancora “troppo basato sul debito finanziario e troppo poco sul capitale di rischio, le banche continuano a giocarvi un ruolo eccessivo, che si ritorce loro contro, rendendole più vulnerabili nelle fasi negative del ciclo economico.”
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