La diversificazione è uno dei mantra del risparmio gestito, una tecnica usata e consigliata da gestori e consulenti per tenere sotto controllo il rischio, ma anche per decidere la composizione dei fondi comuni di investimento o dei fondi pensione. È anche la regola aurea che determina come si investe nel marketplace lending.
La diversificazione è la protagonista di questa puntata della rubrica dedicata alle nostre parole chiave. Sta alla base di ogni strategia di investimento equilibrata e il modo migliore per perdere tutto è spesso proprio il suo opposto, ovvero la scelta di concentrare il complesso degli investimenti in un unico titolo. Ma vediamo nel dettaglio di cosa si tratta e perché è così importante diversificare.
Cos’è la diversificazione?
La diversificazione consiste nel costruire i portafogli facendo in modo che le risorse siano distribuite su un numero elevato di asset con caratteristiche di rendimento diverse. In questo modo, il portafoglio diventa più solido, si bilancia il rischio che è insito e imprescindibile in qualsiasi investimento e si ottimizzano i profitti.
Quando non si diversifica, al contrario, i rischi sono elevatissimi e si può arrivare a perdere tutto: per quanto riguarda le fluttuazioni di Borsa, ci sono casi in cui il calo ammonta al 90% per non parlare di quanto incidano i casi di cronaca. Pensiamo alla vendita allo sportello di obbligazioni bancarie a piccoli risparmiatori, risparmiatori che spesso in quelle obbligazioni collocavano l’intero ammontare del proprio risparmio e che si sono ritrovati con un pugno di mosche quando le banche emittenti sono state risolte. O ancora, ricordiamo lo scandalo dei diamanti collocati allo sportello, i Tango Bond… e potremmo continuare.
Ora, se in ognuno di quei titoli un risparmiatore avesse investito una piccola quota del suo portafoglio, avrebbe limitato le perdite a quella piccola quota. Se, invece, avesse concentrato tutto, si sarebbe trovato con nulla.
Perché è importante diversificare?
Diversificazione è una parola chiave anche per Opyn, i cui prestatori, vale la pena ricordarlo, sono per lo più istituzionali, ovvero grandi investitori professionali. E lo è per almeno due aspetti:
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per la regola di portafoglio che abbiamo ampiamente descritto e che, aggiungiamo, ci è stata utile quando abbiamo siglato gli accordi con le banche per veicolare rapidamente i crediti garantiti alle Pmi, attraverso le cartolarizzazioni. Per attrarre gli investitori, abbiamo composto i portafogli in modo che i prestiti sottostanti fossero garantiti in media al 70%. Bilanciando prestiti con finalità e rischi diversi, riusciamo a rispettare il target e a finanziare aziende diverse nel panorama delle nostre richiedenti;
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in termini di diversificazione del credito: in questo caso stiamo guardando all’altra parte della relazione, ovvero alle imprese. Le Pmi, svincolandosi dalla banca tradizionale – da cui dipendono in media per l’85% dei capitali prestati – possono puntare ad avere performance migliori. Diversificare le fonti di finanziamento contribuisce a rendere il conto economico più equilibrato e la crescita più solida. Lo afferma : secondo quest’ultimo, negli ultimi dieci anni l’eccessiva dipendenza dal canale bancario ha ridotto la crescita delle Pmi. E non è un caso che l’UE, nel piano di azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali, abbia invitato a porre la diversificazione delle fonti di finanziamento delle Pmi, scheletro dell’intera attività produttiva continentale, in cima all’agenda politica degli Stati.
Anche attraverso una buona diversificazione del portafoglio non si può garantire l’assenza totale di perdite ma, grazie ad una gestione del rischio efficace, i risparmiatori possono proteggerei i propri investimenti da fallimenti individuali e da shock di mercato più estesi.
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