14 giugno, 2019

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Scritto da: Redazione Opyn

Il concetto di rischio nel P2P lending 

Quanto è conosciuto il P2P lending come asset class? A leggere questo commento pubblicato di recente, sembrerebbe poco persino da FCA, l’autorità di vigilanza del Regno Unito, il Paese più avanti al mondo nel FinTech.

Il commento potrebbe sembrare di parte, in quanto a firma di Neil Faulkner, Chief Executive Officer di 4th Way (società di ricerca specializzata sul P2P lending). Ma il ragionamento è più che sensato e parte da un breve comunicato apparso sul sito di FCA che sottolinea la differenza tra gli ISA (i PIR britannici senza FinTech) e gli IFISA, la versione innovativa, che viene definita “generalmente ad alto rischio”.

Eppure parliamo di una asset class che da inception ha offerto ogni anno rendimenti incredibilmente positivi e stabili attorno al 5% – in Italia, ma anche in Gran Bretagna, dove il track record è vicino ai 15 anni.

Certamente, e anche Faulkner non manca di sottolinearlo, ci sono specifici tipi di investimenti ad alto rendimento e alto rischio anche nel mondo delle piattaforme di P2P lending, ma è altrettanto vero che esistono strategie per ridurre il rischio, che sono le stesse per qualsiasi genere di investimento e fanno capo sostanzialmente alla regola aurea della diversificazione. Non solo. 4th Way ha realizzato uno stress test con criteri più rigidi di quelli di Basilea per valutare la solidità di un portafoglio di P2P lending scoprendo che “assumendo una recessione in un periodo di 100 anni che porti a un calo dei prezzi dell’immobiliare del 55% e che tutti i prestiti in ritardo diventino insolventi, la probabilità statistica che l’investitore registri una perdita nel momento in cui i debitori hanno ripagato tutti i propri debiti è bassa”.

Il mercato azionario, osserva Faulkner, può registrare perdite anche del 20% in un anno e il tempo di recupero può essere anche di una decade eppure con le giuste strategie di investimento attivo, l’equity è considerato a rischio bilanciato, non ad alto rischio. “Quello che dovrebbe fare FCA è assicurarsi che gli investitori diversifichino ampliamente. Dovrebbe altresì assicurarsi che gli investitori in IFISA siano consapevoli che potrebbero non riuscire a vendere il proprio portafoglio finché il debitore non ha del tutto ripagato. E, infine, assicurarsi che gli investitori siano informati circa le probabilità di default di uno specifico tipo di lending sul quale stanno puntando attraverso un IFISA”.

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