18 dicembre, 2018

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Scritto da: Redazione Opyn

Il Fintech piace agli HNWI d’Oltremanica (e non solo)

Parabola di un settore che, dagli investimenti ai gestori, sta per essere travolto dalla disruption

E così anche i paperoni d’Oltremanica si sono accorti del FinTech. Lo annuncia la rivista specializzata Peer2Peer Finance News, secondo cui un quarto degli High Net Worth Individual (HNWI) – coloro che hanno almeno un milione di euro di patrimonio personale – allocano circa un quinto delle proprie risorse in asset alternativi come il P2P lending. Il dato è contenuto all’interno di una ricerca condotta su 120 clienti dalla società di investimenti Connection Capital, secondo cui gli asset alternativi contribuiscono ad ampliare la diversificazione del portafoglio aumentandone la resilienza e i ritorni. E l’appetito per queste forme alternative è destinato ad aumentare ancora, visto che il retail in genere cerca di emulare i big investor privati e professionali.

Insomma, sembrerebbe che dal punto di vista degli investimenti, gli asset alternativi abbiano smesso di essere sparring partners e siano entrati a pieno diritto tra le opzioni possibili. Le motivazioni della scelta sono diverse: si passa dalla ricerca di rendimenti superiori rispetto a quelli derivati dalle asset class tradizionali, alla possibilità di ottenere una diversificazione importante grazie all’ampia gamma di soluzioni e strategie attuabili attraverso questi strumenti, oltre che all’opportunità di controllare il rischio distribuendolo in maniera capillare. P2P lending, ma anche private equity, proprietà commerciali e hedge fund: tutto per ridurre la correlazione con i mercati tradizionali, aggiustare ritorni e rischio, riuscendo a sopperire la volatilità insita, per esempio, nell’azionario.

Le ricerche che indicano questo trend in atto nel Regno Unito sono diverse: una meno recente è stata condotta prima dell’estate dalla piattaforma di investimenti Private Capitama, riscontrando che il 69% degli investitori era interessato a investire in opportunità FinTech, un settore la cui crescita continuerà nonostante Brexit. Ma questo movimento a favore degli investimenti alternativi offerti dal FinTech da parte dei più abbienti tra i britannici è estendibile anche a livello globale ed è qualcosa che impatterà anche sull’industria del wealth management, costretta a ripensare i propri modelli per non essere soppiantata da chi offre servizi innovativi.

L’ultimo World Wealth report di Capgemini, per esempio, rilevava sia come a inizio estate la ricchezza globale degli HNWI avesse toccato la cifra record di 70mila miliardi di dollari nel 2017 – l’Italia è nella top-ten per numero di ricchi –, sia l’aumento dell’insoddisfazione nei confronti dei gestori tradizionali. Di tutto ciò ne gioveranno le BigTech, che oggi si fregano le mani in attesa di poter accedere ai 100 miliardi di dollari del valore che questo patrimonio globale toccherà nel 2025. Anche perché secondo PwC progressivamente, da qui a 20 anni, il patrimonio di 701 miliardari ultrasettantenni (circa il 40% della ricchezza totale) passerà agli eredi, appartenenti a una generazione più avvezza alle tecnologie e più orientata naturalmente verso il FinTech.
L’ultima indagine di PwC sul Global FinTech segnala inoltre che l’industria dell’asset e wealth management sia una tra le più soggette al rischio disruption per effetto della tecnologia, nonostante solo il 60% dei gestori tradizionali, tra cui anche quelli wealth, pensino di essere a rischio. Ovvero sottostimano la possibilità di perdere quote a causa del FinTech.

E fanno male: ancora secondo Capgemini, nonostante i wealth manager tradizionali abbiano garantito rendimenti superiori al 20% agli HWNI questi si sono dichiarati insoddisfatti della relazione con il proprio gestore: quest’ultima deve infatti essere consolidata anche “offrendo un’innovativa customer experience digitale”. Anche perché più della metà degli HNWI intervistati da Capgemini è pronta a sperimentare l’offerta delle BigTech. Insomma, c’è poco da fare: anche per i gestori dei grandi patrimoni, la sfida della disruption è aperta. Cambiare o morire, nessuna terza via.

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