4 dicembre, 2018

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Scritto da: Redazione Opyn

Il prossimo trend del FinTech? I sistemi di riconoscimento biometrico

Nel Regno Unito sono usati per identificare con certezza i clienti e combattere il riciclaggio di denaro “informatico”. In Italia il primo esperimento è una carta di pagamento di Intesa Sanpaolo, ma si tratta di una tendenza destinata a diventare pervasiva…

Obiettivo: sicurezza. È quello che chiedono, con sempre maggiore insistenza, gli investitori britannici che hanno destinato parte del proprio patrimonio al FinTech. Sicurezza non solo in merito all’investimento, in termini di trasparenza e condizioni di sottoscrizione, ma anche da un punto di vista più generale e legato alle nuove logiche di trasmissione dei dati, sempre più dipendenti dalla tecnologia. Un tema che le aziende FinTech sono chiamate ad affrontare in maniera puntuale.
Il trend si dipana dal mercato britannico e pian piano arriverà anche da noi: come si fa a evitare frodi informatiche, oggi, nelle transazioni finanziarie?
Una risposta arriva dalla stessa tecnologia e, segnatamente, dai sistemi di identificazione biometrica, ovvero il riconoscimento facciale o attraverso la retina o le impronte digitali.
I software con queste funzionalità sono sempre più a basso costo e sempre più diffusi anche all’interno delle banche internazionali, mentre gli operatori di P2P si stanno appena affacciando a questo mondo.

È di qualche giorno fa la notizia della prima carta di pagamento italiana con riconoscimento biometrico: a lanciarla, in un progetto pilota di 16 settimane a Torino, Milano e Roma, sono Intesa Sanpaolo e Mastercard.
La tecnologia consentirà di verificare, utilizzando l’impronta digitale, l’identità del titolare rendendo sicure le transazioni in maniera facile e veloce.
L’utilizzo dei sistemi di innovazione biometrica è uno dei trend individuato anche nell’indagine conoscitiva di Banca d’Italia sull’adozione delle innovazioni tecnologiche applicate ai servizi finanziari.

Me che cosa è possibile fare con il riconoscimento biometrico, ad esempio, nel P2P lending? Lo spiega (qui) Narinder Khattoare, CEO di Kuflink, FinTech specializzata in prestiti a breve termine garantiti da immobili nel Regno Unito: “Le aziende regolate dalla Financial Conduct Authority devono verificare l’identità dei clienti, un obbligo che, di fatto, rende tracciabili i finanziamenti e riduce i crimini finanziari. Di riflesso, questo si traduce in una maggior protezione per gli investitori, senza considerare che le aziende che non fanno il necessario per prevenire il riciclaggio sono soggette a pesanti sanzioni. L’ultimo caso risale al 2017, quando una banca fu multata per 163 milioni di sterline per non essersi dotata di misure di controllo adeguato; le sue procedure interne sono state giudicate inefficaci per tracciare l’origine dei fondi.
Kuflink, dal canto suo, ha di recente siglato una partnership con Onfido per consolidare il suo sistema di controllo. Onfido è una società londinese fondata nel 2012 da tre ex studenti di Oxford: nel suo core business ha proprio il riconoscimento facciale, che attraverso un sistema di intelligenza artificiale, confronta la fototessera dei documenti di identità con un selfie, tutto online. Ed è un leader assoluto nel suo settore, a cui si sono rivolti già giganti tech come Google, Uber e Revolut. “Ora usiamo il riconoscimento facciale per verificare che il documento fornito dal nostro cliente sia originale e corrisponda alla persona che lo sta usando. I dati mostrano che circa l’85% dei cittadini britannici usa lo smartphone per accedere ai servizi finanziari, dunque il processo di applicazione online diventa più sicuro oltre che più conveniente per gli investitori”, spiega Khattoare.

E in Italia, oltre alle prime sperimentazioni sulle carte, quanto è sentito questo tema? In maniera crescente.  Perché se è vero che, come sostiene l’Osservatorio Fintech & Digital Finance della School of Management del Politecnico di Milano “il 16% degli italiani ha utilizzato almeno un servizio Fintech nel corso del 2017”, la quota raddoppia (34%) se si considerano soltanto i Millennials. Il servizio più utilizzato è il mobile payment (15%), seguito da mobile wallet (8%), strong authentication (8%), trasferimenti di denaro P2P (7%), trading di criptovalute, chatbot e crowdfunding (tutti alla pari al 5%). Il robo advisoring invece “è l’unico il cui livello di conoscenza cresce in modo significativo tra i soli Millennials, passando dal 12% al 30%”.

Man mano che i Millennials diventeranno “grandi” aumenterà dunque “la richiesta di servizi finanziari ad alto contenuto tecnologico”, secondo la già citata indagine conoscitiva della Banca d’Italia, che sottolinea tuttavia come in Italia: “gli investimenti sono ancora contenuti, in confronto ad altri Paesi europei quali Regno Unito, Germania, Francia e Olanda in ragione della modesta presenza di imprese Fintech e di un modello di business bancario ancora tradizionale”; in cui “circa i tre quarti degli intermediari (di grande dimensione) prevede di effettuare almeno nel lungo termine investimenti in tecnologie e servizi Fintech”, scegliendo però, per lo più, di farlo in house (senza cooperare con le start up). Dunque, seppur con un po’ di ritardo, sta crescendo la consapevolezza che soluzioni FinTech siano un passaggio obbligato per soddisfare la domanda di sicurezza dei clienti.

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