26 settembre, 2018

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Scritto da: Redazione Opyn

La wishlist del P2P lending per il governo alle prese con la manovra di Bilancio 2019

L’introduzione degli strumenti Fintech nei PIR per stimolare il settore e l’estensione del fondo di garanzia anche alle piattaforme di P2P Lending, a tutela degli investitori privati

“Prima di tutto più innovazione, siamo indietro dal punto di vista dell’innovazione e degli investimenti. Guardando a quello che fa la Francia, dovremo arrivare a un piano da 3 miliardi di euro.” Il vicepremier e ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, Luigi Di Maio, lo ha dichiarato qualche giorno fa alla tv cinese CGTN (con specifico riferimento agli investimenti dei VC nelle startup). L’accento forte messo sulla necessità di accelerare le nuove tecnologie ci fa ben sperare che ci sia un commitment anche a favore del FinTech nella discussione della prossima legge di Bilancio 2019, che entrerà nel vivo tra poche ore. 

Siamo agli sgoccioli: entro il 27 settembre sarà pubblicata la nota di aggiornamento al DEF, mentre per il 15 ottobre l’UE attende i dettagli della manovra. Tra una manciata di giorni sapremo che peso darà il Governo del cambiamento all’unico – per noi – vero cambiamento possibile, quello che passa attraverso le tecnologie abilitanti e l’innovazione.

Al momento, e dall’insediamento dell’esecutivo gialloverde, il dibattito pubblico è stato incentrato su temi diversi, dalle gestioni degli sbarchi allo spread, dalla turbolenza sui mercati al welfare, mentre l’innovazione è apparsa come la grande assente. Anche adesso che si è aperta la discussione sulla legge di bilancio, l’attenzione è catalizzata intorno al reddito di cittadinanza, la flat tax, la pace fiscale e la quota 100 in tema di pensioni. Eppure innovazione e FinTech sono presenti nel contratto di governo. Si riporta, nel documento, per 11 volte la parola “innovazione”, legandola di volta in volta a temi quali green economy, enti pubblici di ricerca, capitale umano, start-up, politica industriale. Al punto 5, intitolato “Banca per gli investimenti e il risparmio”, nel paragrafo “Tutela del risparmio”, si cita il Fintech nella conclusione: “occorre investire per sviluppare l’innovazione tecnologica nella fornitura di servizi e prodotti finanziari (blockchain e FinTech), anche al fine di garantire una maggiore trasparenza nelle transazioni finanziarie.” E nello stesso capitolo, il contratto prevede la necessità di una “Banca per gli investimenti, lo sviluppo dell’economia e delle imprese italiane”, che dovrebbe svolgere, tra l’altro, “attività di secondo livello per le piccole e medie imprese agendo in cofinanziamento con il sistema bancario.” Dunque esiste la consapevolezza della necessità di offrire alle PMI canali alternativi di finanziamento.

Ricordiamo che il M5S aveva introdotto nel suo programma un capitolo dedicato alle Telecomunicazioni scrivendo “che non solo non si debba avere un atteggiamento pregiudiziale verso l’irrompere delle nuove tecnologie in settori tradizionali come il mondo bancario e finanziario, ma anzi occorra favorire lo sviluppo di tali fenomeni nel momento in cui consentono di democratizzare il mondo del credito e favorire, sotto questo profilo, l’inclusione finanziaria. Favorire tali fenomeni non significa lasciare campo libero agli operatori. La via maestra da seguire passa dapprima da una conoscenza e da un’analisi approfondita del mondo finanziario che sta cambiando, per poi approntare una regolamentazione, anche minima, del Fintech a tutela […] primariamente degli interessi dei consumatori, come peraltro sottolineato dalla stessa Commissione UE. Occorre, a nostro avviso, partire anche in Italia con l’acquisizione di una maggiore consapevolezza sul fenomeno a tutti i livelli”.

Anche nel programma della Lega c’era un capitolo dedicato all’innovazione digitale: non si citava il FinTech ma la necessità di svincolare le imprese dalla dipendenza dal credito bancario, facendo “fluire più capitale privato al settore dell’imprenditoria giovanile mediante obblighi di legge che prevedano un investimento minimo (in uno spettro compreso tra il 3% e il 5%) in questo settore per i Piani Individuali di Risparmio (PIR) e per i fondi pensione italiani”.

Torneranno questi temi nel dibattito sulla Finanziaria 2019? Pur a volerli cercare con atteggiamento certosino, appaiono fagocitate da quelle che sono le tematiche più appealing a livello mediatico. Forti incentivi per innovazioni e tecnologie sono la via maestra per far ripartire il Paese, una strategia che potrebbe recare ingenti benefici ai cittadini in termini di produzione, di ricchezza e lavoro, rafforzando tutte le altre misure sul tavolo.

Nel 2018 la legge di bilancio aveva introdotto un’importante novità per il Fintech, ovvero la tassazione delle rendite al 26%, equiparandole alle altre forme di investimento (fondi, azioni, obbligazioni corporate). Si è trattato di un’importante pietra miliare per il mondo del P2P lending, prima ingiustamente sottoposto a tassazione ad aliquota marginale Irpef (dal 23% al 43% a seconda dello scaglione di reddito).

Per il 2019 auspichiamo – ponendoci obiettivi plausibili e non utopici – che in Finanziaria siano introdotte almeno altre due misure a beneficio del P2P lending (e dunque a beneficio dell’economia reale):

  1. L’inclusione nei PIR. Parliamo dei panieri composti per almeno il 70% di investimenti in titoli quotati o non di aziende italiane o con stabile organizzazione in Italia e per almeno il 30% in titoli fuori dal Ftse/Mib: su di essi il Governo ha stabilito che ci fosse esenzione fiscale totale a patto di detenere il paniere per 5 anni e su un importo di 30mila euro all’anno. La ratio è chiara: incentivare l’investimento in asset italiani e in particolare nelle PMI che costituiscono il 90% del nostro tessuto imprenditoriale. Non si capisce perché, come avviene in Regno Unito, da cui il modello è stato mutuato, non sia ancora stato introdotto tra gli investimenti possibili anche il FinTech. Il primo punto della nostra wishlist per il Governo è dunque questo: introdurre nei portafogli PIR il P2P lending, i prestiti disintermediati alle imprese. Nulla di trascendentale, visto che qualcosa di simile era previsto nel programma della Lega.
  2. La seconda richiesta riguarda l’estensione del fondo di garanzia anche alle piattaforme di peer to peer lending, gestite, per esempio, da Istituti di Pagamento (qual è BorsadelCredito.it). Il Fondo di Garanzia per le PMI è uno strumento istituito con la Legge n. 662/96 (art. 2, comma 100, lettera a) e operativo dal 2000. Dal sito del Mise: “La finalità è quella di favorire l’accesso alle fonti finanziarie delle piccole e medie imprese mediante la concessione di una garanzia pubblica che si affianca e spesso si sostituisce alle garanzie reali  portate dalle imprese. Grazie al Fondo l’impresa ha la concreta possibilità di ottenere finanziamenti senza garanzie aggiuntive (e quindi senza costi di fidejussioni o polizze assicurative) sugli importi garantiti dal Fondo, che non offre comunque contributi in denaro.” Il Fondo garantisce i prestiti erogati da Banche, società di leasing, SGR, imprese di assicurazione e altri intermediari finanziari: si applica nel nostro caso al fondo Colombo, dunque ai prestatori istituzionali, ma non agli investitori privati che si avvalgono dei servizi dell’istituto di pagamento. Un’estensione che peraltro consentirebbe di andare nella direzione tracciata dal programma del M5S in merito alla necessità di trovare alternative per il finanziamento delle piccole e medie imprese italiane.