Tutti i numeri del finanziamento alle imprese dalla folla e quello che ancora manca, secondo BorsadelCredito.it
Nell’ultimo anno, tra il primo luglio 2016 e il 30 giugno 2017 sono stati raccolti in Italia 138,6 milioni di euro sulle piattaforme di crowd investing: così oggi il mercato totale vale 189,2 milioni. I numeri sono dell’Osservatorio Crowdinvesting della School of Management del Politecnico di Milano e sono quelli del secondo Report italiano sul fenomeno.
Numeri che ci dicono innanzitutto che il mercato si è creato, di fatto, negli ultimi 12 mesi e che, pur essendo partito in ritardo e in sordina, recupera velocemente terreno.
Si tratta ormai di uno “strumento alternativo di finanziamento, in particolare per le piccole e medie imprese, che coinvolge la ‘folla’ di Internet per raccogliere capitale – si legge nel report – si moltiplicano i portali attivi, i capitali investiti aumentano, sempre più imprese si avvicinano a questa opportunità. Il crowdinvesting, cioè l’opportunità per singole persone fisiche (ma anche investitori istituzionali e professionali) di aderire, attraverso una piattaforma Internet abilitante, alla raccolta di risorse per un progetto imprenditoriale, in cambio di una remunerazione del capitale, a titolo di investimento. Quasi inesistente fino al 2012, il crowdinvesting nel 2016 si è trasformato in un fenomeno non più trascurabile.”
Finalmente, aggiungiamo noi. E prima di commentare questi dati, li enucleiamo brevemente.
La crescita vertiginosa ha coinvolto tutti i tre ambiti di cui il rapporto tratta: cioè l’equity crowdfunding, il lending crowdfunding e l’invoice trading. Tanto che, per usare le parole di Giancarlo Giudici, Direttore scientifico dell’Osservatorio: “non c’è dubbio che il crowdfunding sia un fenomeno col quale misurarsi per chi intende studiare le dinamiche della raccolta di capitale per le imprese.”
Come fa notare ancora il Polimi, esistono però differenze sostanziali tra i diversi settori: l’equity crowdfunding, ovvero la raccolta di danaro attraverso la sottoscrizione diretta sul web di titoli partecipativi del capitale di una società è quello verso cui, anche dal punto di vista delle azioni di governo, si rivolgono le maggiori attenzioni: la Legge di Stabilità 2017 ha esteso l’opportunità di servirsene, prima riservata a startup e PMI innovative, a tutte le PMI, purché la campagna sia veicolata su piattaforme autorizzate. Un altro elemento rilevante è stato l’aumento al 30% della detrazione fiscale per gli investitori, benché ancora limitato a startup e PMI innovative.
Eppure, nonostante queste attenzioni e una tradizione più radicata nel tempo, il comparto muove meno di quello che muove il lending crowdfunding dedicato alle imprese (che è quello che fa BorsadelCredito.it). Andiamo con ordine: al 30 giugno 2017 i portali autorizzati in Italia erano 19 come nel giugno 2016 (con alcuni nuovi arrivi e alcuni ritiri) e le campagne di raccolta all’attivo erano più che raddoppiate, passando da 48 a 109, di cui 36 chiuse con successo, 53 chiuse senza successo e 20 ancora aperte. Il capitale raccolto dal 2012 ammontava a 12,4 milioni di euro, di cui ben 6,85, cioè oltre la metà, soltanto negli ultimi 12 mesi. Gli investitori invece erano 1.196 di cui 1.068 persone fisiche, e 128 persone giuridiche, tra cui è ancora troppo poco frequente la presenza di investitori professionali in ambito finanziario, come i fondi di venture capital. Il target di raccolta medio è pari a 245.158 euro (in calo rispetto al passato), corrispondente ad una quota del capitale azionario offerta pari al 17,7%, anch’essa in sensibile diminuzione.
Il lending crowdfunding invece è cresciuto in maniera esponenziale: al 30 giugno 2017 c’erano 6 piattaforme in ambito consumer, tre in più dell’anno prima e tre in ambito business (mentre nel 2016 c’era solo BorsadelCredito.it). Le risorse finora raccolte attraverso i portali ammontano a 88,3 milioni di euro, secondo le rilevazioni dell’Osservatorio: di questo totale, 15 milioni sono stati erogati a imprese. Il flusso degli ultimi 12 mesi è stato pari a 56,6 milioni e ha determinato una crescita sostanziale del mercato.
I prestatori iscritti alle piattaforme consumer risultano essere più di 11.000, per il 90% maschi con un’età compresa fra 38 e 46 anni (un profilo simile a quello che Polimi traccia per l’investitore dell’equity). Le imprese italiane finanziate dai portali business sono a oggi 261, di cui 198 fatturano meno di 2 milioni di euro. Rispetto al credito bancario, le condizioni di finanziamento non risultano essere sempre convenienti (anche se, vista la trasparenza delle offerte di piattaforme di social lending e l’opacità di quelle bancarie, sono grandezze difficilmente confrontabili), ma viene apprezzata la rapidità di risposta offerta dalle piattaforme.
Infine, l’invoice trading, ovvero la cessione di una fattura commerciale attraverso un portale Internet che seleziona le opportunità e sostituisce il tradizionale ‘sconto’ della fattura attuato dalle banche per supportare il capitale circolante. Gli investitori anticipano l’importo della fattura, al netto della remunerazione richiesta. In Italia sono quintuplicati i portali dedicati, passati da 1 a 5. Le risorse raccolte attraverso Internet al 30 giugno 2017 ammontavano a 88,5 milioni di euro, 8 volte quelli cumulati l’anno precedente. Le fatture cedute da imprese italiane attraverso l’invoice trading sono ormai più di 2.000 (erano 220 un anno fa).
Immaginiamo solo quanto potrebbe crescere e in che misura potrebbe contribuire al finanziamento delle imprese il segmento del lending crowdfunding se si facessero i passi necessari, che più volte BorsadelCredito.it ha richiamato (per esempio qui). Su di esso, per esempio, mentre sull’equity viene detratto il 30% dalla tassazione, non vige nessuna detrazione, e anzi, lo ricordiamo, pesa una tassazione svantaggiosa, ad aliquota marginale sul reddito che varia dal 23% al 43% contro il 26% applicato su ogni altro reddito da investimento.
E non siamo i soli a crederlo. “Per il lending – conclude Giancarlo Giudici – la prospettiva più urgente è una riforma legislativa e fiscale che ‘sdogani’ definitivamente questa nuova asset class, eliminando gli svantaggi oggi esistenti senza rinunciare alla trasparenza del mercato per i retail”.
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