19 aprile, 2021

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Scritto da: Redazione Opyn

Stato di salute delle PMI: dopo un anno la situazione non è migliorata

Che fare? Bisogna sciogliere il nodo liquidità, che è ciò che continua a mancare tra lockdown che ancora affaticano certi settori e una campagna vaccinale che stenta. Ma serve anche più azione da parte delle imprese, che devono ricominciare a investire per ristrutturarsi in vista del ritorno alla normalità che inevitabilmente arriverà

La crisi per le PMI continua. Una conseguenza prevedibile di un 2021 che è iniziato tra nuovi lockdown e contagi in aumento e un piano vaccinale che procede al rilento.

Ci siamo occupati per un anno – e giustamente – della salvaguardia della salute pubblica, sacrificando attività economiche e culturali. A guardare però oggi lo stato di salute delle PMI viene da pensare che forse si sarebbe dovuto fare anche altro. Non che non sia stato fatto: i prestiti garantiti del Decreto liquidità, i ristori e i sostegni: forse era il massimo possibile, ma non è stato abbastanza.

Ancora 240mila PMI a rischio chiusura per la pandemia 

I numeri più aggiornati parlano chiaro: secondo Confcommercio, le cifre emblematiche del “gravissimo impatto economico e sociale generato dall’emergenza legata al Covid -19” (sono queste le parole di Enrico Postacchini durante l’audizione sul decreto Sostegni) sono i 128 miliardi di euro di crollo dei consumi nel 2020 e oggi il rischio chiusura di circa 300mila imprese del commercio al dettaglio non alimentare e del terziario di mercato, di cui 240mila come conseguenza diretta della crisi di reddito e di liquidità. E la perdita di 200mila posti di lavoro.

Fino a 1,9 milioni di posti di lavoro in meno a fine anno 

Confcommercio fa una fotografia solo parziale, come dimostra il dato sulla disoccupazione. In totale secondo Istat i posti di lavoro persi per Covid sono già un milione. O per la precisione, da febbraio 2020 a febbraio 2021, 945mila. La diminuzione coinvolge uomini e donne, dipendenti (-590mila) e autonomi (-355mila) e tutte le classi d’età. Nell’arco dei dodici mesi, crescono le persone in cerca di lavoro (+0,9%, pari a +21mila unità), ma soprattutto gli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+5,4%, pari a +717mila). E da giugno, quando presumibilmente il blocco dei licenziamenti disposto da decreto sarà rimosso, chissà quante fuoriuscite dal mondo del lavoro si dovranno fronteggiare (le previsioni dicono un altro milione di persone).

Secondo Cerved, i posti di lavoro persi in caso di fine dell’emergenza a metà anno, ammonteranno a 1,3 milioni (l’8,2% degli addetti impiegati prima dell’emergenza), che porterebbe il tasso di disoccupazione dal 10% del 2019 al 15% a fine 2021. In caso di crisi protratta fino a fine anno, la riduzione arriva a 1,9 milioni di unità (-11,7%), con un tasso di disoccupazione che crescerebbe al 17%.

Cosa fare ora per le PMI: con l’atteggiamento giusto si può ripartire 

D’altronde i ristori non sono sufficienti: spettano, sempre attingendo ai calcoli di Confcommercio, a tre milioni di interessati e ammontano in media a 3.700 euro. La soluzione? Confcommercio ha invocato “moratorie fiscali più ampie e una proroga della moratoria sui prestiti bancari unita all’allungamento dei tempi per il rimborso dei prestiti assistiti da garanzie pubbliche”. Il tema è sempre lo stesso: la carenza di liquidità, che dipende da mancati incassi e si ripercuote sui bilanci e pregiudica, a ben vedere, anche una ripartenza. Perché per ripartire c’è bisogno di investire e, ancora una volta, di liquidità. 

E come ci si salva? Solo con un atteggiamento proattivo e una mentalità da startup. Anche nei settori più in crisi – dai trasporti, alla ristorazione, ai viaggi – solo chi ha cambiato marcia, ha cambiato strategia, ha immaginato un futuro diverso sta già riprendendo quota. E potrà tenere livelli occupazionali e azienda. Pensare che però gli imprenditori ce la facciano da soli è anche questa pura utopia. L’impegno pubblico dovrebbe, a nostro avviso, essere più improntato a una visione strategica che tenga conto di quello che serve. Ovvero digitalizzazione massiccia, formazione e strumenti per la ricollocazione per chi alla fine di questa storia non ce l’avrà fatta e dovrà reinventarsi.

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