16 gennaio, 2018

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Scritto da: Redazione Opyn

2018: inizia l’era della tassazione al 26%

Svolta epocale per il P2P lending che viene equiparato alle altre asset class sul fronte fiscale. Prossimo obiettivo: l’inclusione nei PIR

Una nuova stagione per il P2P lending si è aperta con l’arrivo del 2018 e di una grande novità. La tassazione sulle rendite è stata equiparata a quella degli altri strumenti di investimento, rimuovendo un’anomalia ingiustificabile e penalizzante che finora aveva un po’ soffocato l’asset class di cui ci occupiamo.

La novità è contenuta nella legge di Bilancio 2018: come abbiamo ripetuto in maniera costante nel corso dei nostri due anni e mezzo di attività, il P2P lending nasceva in Italia con il vizio di un’imposizione fiscale iniqua. Gli interessi derivanti per i prestatori dagli investimenti in prestiti alle PMI erano sottoposti ad aliquota marginale sul reddito: dal 23% per redditi inferiori ai 15mila euro fino al 43% per redditi superiori ai 75mila euro. Ciononostante, il P2P lending ha sempre garantito, come testimonia la raccolta delle nostre statistiche mensili, rendimenti superiori a quelle dell’asset class equiparabili dal punto di vista del rischio/rendimento. Da oggi si cambia: i rendimenti saranno tassati al 26%, come avviene per gli altri strumenti: dai fondi comuni ad azioni e obbligazioni, ad esclusione dei titoli di Stato che sono tassati al 12,5%. La differenza che farà la spieghiamo con un esempio: prima, a fronte di un interesse lordo del 5%, il rendimento netto oscillava da un minimo del 2,85%, (per i prestatori soggetti all’aliquota del 43%) a un massimo del 3,85% (per quelli tassati al 23%). Con le nuove regole il tasso nettato della parte fiscale diventa del 3,7% per tutti, ancora più allettante se confrontato con asset class tradizionali.

Un muro che cade, quindi, per i tanti attratti dall’investire nell’economia reale ma frenati finora da una tassazione penalizzante.

Si tratta senza dubbio di una svolta importante, per cui abbiamo combattuto noi stessi e che consideriamo una vittoria. La strada però, è ancora lunga, e adesso il mondo del P2P lending punta dritto al prossimo obiettivo: l’inclusione nei PIR, i piani individuali di risparmio che investono – almeno sulla carta – sull’economia reale italiana ma che in realtà, al momento, si limita alle società quotate su Ftse/Mib e Star.

I PIR devono investire per il 70% in strumenti quotati o non quotati di imprese italiane o con stabile organizzazione in Italia, quotate o no, e per il 21% fuori dal listino principale di Piazza Affari. Ma i quasi 60 fondi con queste caratteristiche che sono stati lanciati nel corso del 2017 difficilmente sono andati oltre lo Star, escludendo anche il listino emergente AIM. Perché le SGR non investono sulla ricerca verso aziende piccole e sconosciute e dunque non aprono posizioni su di esse.

Nel corso della discussione intorno alla legge di bilancio sono stati presentati alcuni emendamenti che puntavano a includere il P2P lending dentro i piani individuali di risparmio, ma si sono persi nel rimpallo tra le Camere. Il P2P lending può essere il vero motore di crescita dell’economia reale, fatta di oltre 6 milioni di imprese capillarmente dislocate sul territorio contro le 380 quotate sul listino su cui al più si concentrano le SGR. Per ora restiamo fuori dai giochi. Ci auguriamo che nel corso del nuovo anno anche su questo fronte le cose cambieranno.