6 giugno, 2017

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Scritto da: Redazione Opyn

I cinque passi per far volare il marketplace lending italiano

Da una normativa più organica a una fiscalità più equa, fino alla cooperazione con pubblico e banche, ecco i suggerimenti di BorsadelCredito.it

Un mercato potenziale da almeno 50 miliardi di euro – a tanto ammontano le esigenze di credito delle nostre PMI a cui le banche non riescono a far fronte secondo Kpmg, e un valore, quello del marketplace lending italiano, che supera di poco i 70 milioni, secondo le rilevazioni aggiornate ad aprile di p2plendingitalia (anche se in crescita esponenziale, dritto a quota 100 milioni per il mese di maggio). Chi segue questo blog questi numeri li conosce a memoria. Il gap tra domanda potenziale e offerta è impressionante. Come si colma? A nostro avviso rimuovendo i bug, i difetti del mercato domestico che ne impediscono l’espansione così come meriterebbe. Quali sono? Proviamo a elencarli e speriamo che questa breve lista possa essere considerata un suggerimento per i policy maker, coloro che hanno il potere di fare leva sugli elementi propulsori del sistema. Ecco le cinque cose che mancano oggi al P2P lending made in Italy.

1.Un quadro normativo unitario e preciso

L’unica regola che oggi regola il nostro settore è la sezione IX delle nuove norme sulla raccolta del risparmio da parte dei soggetti non bancari. In questa norma il social lending è definito come “uno strumento attraverso il quale una pluralità di soggetti può richiedere a una pluralità di potenziali finanziatori, tramite piattaforme on-line, fondi rimborsabili per uso personale o per finanziare un progetto.” Oggi le piattaforme possono operare se sono istituto di pagamento ex art. 114 TUB, intermediario finanziario ex art. 106 TUB o istituto di credito. E possono fare da intermediari nelle trattative personalizzate tra imprenditori e singoli finanziatori.

Nelle disposizioni, approvate lo scorso novembre, c’è specificato poco altro. La mancanza di una normativa organica non potrà durare a lungo, visti anche i ritmi di crescita del mercato: una più spiccata chiarezza e completezza nella normativa faranno certamente da propulsore per una maggiore conoscenza e autorevolezza del mercato della finanza alternativa. 

2.Un trattamento fiscale equo

Il reddito di qualsiasi forma di investimento (azioni, fondi, bond corporate ecc.) viene tassato al 26%, con l’unica eccezione dei titoli di Stato che ricevono un trattamento agevolato al 12,5% e dei PIR di recente istituzione, che, poiché sono stati strutturati per aiutare l’economia reale (cosa rispetto a cui abbiamo peraltro sollevato più di un dubbio), sono del tutto esenti dall’imposizione fiscale. Il P2P lending invece è tassato ad “aliquota marginale”. Ovvero, il prestatore deve sommare al suo reddito il guadagno che ottiene dalla sua attività di prestito e pagare la relativa aliquota IRPEF, a seconda dello scaglione in cui si posiziona: dal 23% per chi ha reddito sotto i 15mila euro e fino a un esorbitante 43% per chi guadagna più di 75mila euro. Nonostante questo, il P2P lending di BorsadelCredito.it è riuscito comunque a battere, in tema di rendimenti, tutte leasset class in qualche modo comparabili (vedi per esempio, le statistiche di aprile): ciò non toglie che la tassazione sia fortemente penalizzante e in maniera del tutto arbitraria. Tanto più che il governo con la legge di bilancio in cui ha introdotto i PIR ha espresso chiaramente la sua volontà di agevolare chi investe in economia reale: e i prestatori di BorsadelCredito.it e del P2P lending per PMI già lo fanno senza dubbio. Inoltre, in UK negli strumenti a cui i PIR si sono ispirati, il P2P lending è una classe di investimento a tassazione zero sui redditi che produce.

3.Più investitori (istituzionali e pubblici)

Ne abbiamo parlato qui. I fondi di direct lending in Europa hanno erogato 13 miliardi di euro in prestiti alle imprese e hanno una potenza di fuoco di circa 54 miliardi. Le piattaforme come BorsadelCredito.it sono le candidate ideali a ospitare fondi di direct lending, ovvero fondi che eroghino credito all’economia reale e che siano investibili anche da investitori istituzionali. La nostra piattaforma è pronta a partire e lo farà nel corso del 2017.

Ovviamente, anche sui fondi di direct lending il Regno Unito è il faro a cui guardare. E lo è anche da un altro punto di vista: quello degli investimenti pubblici. Il governo UK ha già finanziato con 100 milioni di sterline Funding Circle, che è il leader britannico dei prestiti tra pari alle PMI e il 10% della liquidità di quella piattaforma arriva da fonti pubbliche (per saperne di più, ne avevamo parlato qui). L’intento dichiarato del governo britannico è “abilitare la crescita e il successo di quante più imprese nel Regno Unito.” In Italia, oggi, a investire nel P2P lending è solo il retail. Le cose stanno cambiando anche qui, però, lentamente ma inesorabilmente. L’appoggio del pubblico non sarebbe sbagliato in questo momento. 

4.La cooperazione con le banche

In Italia se ne inizia a parlare, ma non ci sono ancora casi concreti di collaborazione P2P lending e banca. Eppure, noi stessi abbiamo raccolto più volte opinioni riguardo alla necessità per le stesse banche di farsi FinTech: solo per citarne alcune, quella di State Street; quella dell’Osservatorio Digital Finance del POLIMI, quella di un genio italiano del FinTech come Matteo Rizzi.

Negli Usa, il 72% delle banche locali pianifica qualche forma di cooperazione con in FinTech. E in Gran Bretagna, dallo scorso settembre è stato approvato un referral scheme che prevede che ogni richiesta di finanziamento fatta da una PMi e non gestita dalla banca debba essere segnalata alle piattaforme che possono offrire un servizio alternativo. Anche in questo caso, il legislatore ha in mano le chiavi per dischiudere un mercato. 

5.E se spingessimo per fare di Milano un hub europeo del FinTech?

Alla fine, dopo aver attinto dal Regno Unito a tutto ciò che di innovativo c’è, potremmo prenderci il posto di Londra come capitale mondiale della finanza. Con l’avvicinarsi dell’elezioni anticipate dell’8 giugno, in UK torna in auge il dibattito sulla fuga della finanza dalla City, una fuga che potrebbe concludersi a Milano, come più volte auspicato da Guido Rosa, il presidente dell’associazione italiana delle banche estere, per esempio qui. Lo ha dichiarato più di recente anche il presidente della Consob Giuseppe Vegas. Per rendere la città più attrattiva per gli investitori esteri è stato presentato in marzo anche un disegno di legge ad hoc. Sicuramente il capoluogo lombardo ha tutte le carte in regola, tra le altre cose per numero e qualità delle startup che qui nascono, per diventare l’hub europeo del FinTech.

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