Secondo l’Osservatorio Digital Finance del Politecnico di Milano il futuro del banking tradizionale – che arranca tra margini sempre più risicati e requisiti di capitale sempre più stringenti – non può prescindere dai colossi di Internet e dal Fintech
Il futuro del banking? Passa attraverso la tecnologia. Nulla di nuovo sotto il sole – l’innovazione tecnologica attraversa i sistemi bancari da decenni, ma stavolta la questione è diversa. Stavolta è il modo di fare banca, il modo di servire i clienti, il funzionamento dei propri processi operativi che richiede un ripensamento in chiave digitale, pena l’uscita dal mercato. A dirlo non è (solo) BorsadelCredito.it, ma l’Osservatorio Digital Finance del Politecnico di Milano, che a fine gennaio ha compilato il resoconto del suo primo anno di attività.
“Le sfide per il sistema bancario sono ormai sempre più incalzanti – si legge nel report dell’Osservatorio – per ciascun attore finanziario è chiave, e lo sarà sempre di più, analizzare la sostenibilità del proprio business model e la capacità di creare valore nel lungo periodo, e con coraggio adattarsi, anche digitalmente, al mutato contesto.”
Le difficoltà che il mondo della finanza sta attraversando ormai da anni sono ben note: la prima è in termini di margini, la seconda in tema di aumento dei requisiti patrimoniali. Il ROE medio a livello europeo si è ridotto al 5,7%, sotto il costo del capitale, che invece ha raggiunto un valore medio del 13,6% in termini di Cet1. La riduzione della profittabilità è stata causata da diversi fattori: sicuramente i tassi di interesse a zero hanno eroso il margine di interesse e un crescente bisogno di rettifiche alle poste di bilancio ha fatto il resto; ma anche un modello di business non adeguatamente diversificato e uno scarso incremento dei volumi hanno avuto il loro peso. Un po’ insomma è colpa anche loro, delle banche – oltre che del mercato debole.
E la crisi bancaria è sotto gli occhi di tutti: l’indice bancario del Ftse/Mib di Borsa Italia ha perso il 30%, L’EuroStoxx Bank il 20% solo nell’ultimo anno. Come effetto di quello che succede all’azienda banca: per guardare solo all’Italia, abbiamo assistito al fallimento di quattro banche e siamo ancora nel bel mezzo del disastro del colosso Mps… più tante altre che sono in una fase di forte crisi.
Ma nessuno è esente da ristrutturazioni: anche le banche sistemiche annunciano chiusure di sportelli e ricapitalizzazione e la fine del tunnel stenta a vedersi. Di più, in Europa il sistema bancario inizia a essere sotto osservazione più del debito pubblico: a Malta, i ministri finanziari dell’Unione parleranno per la prima volta dei crediti in default delle banche il 7 e 8 aprile, come scrive il Corriere qui. Sono oltre mille miliardi i prestiti deteriorati che inceppano buona parte del sistema finanziario nell’Unione europea. E l’Italia, la cui economia pesa per meno di un sesto dell’Unione, ha sofferenze bancarie che valgono per più di un terzo.
Cambiare, per non soccombere sarebbe quanto mai necessario. E la strada maestra sta nella digitalizzazione. L’Osservatorio del Polimi ha analizzato 730 start-up FinTech nel mondo, nella convinzione che la trasformazione delle banche in chiave vincente non possa prescindere da una cooperazione con esse e le ha catalogate in maniera minuziosa.
Le startup internazionali si concentrano sui servizi core del mondo finanziario, con il 34% di queste che si occupa di Lending&Financing, raccoglie il 60% dei finanziamenti e inizia a cercare spazi anche in altri ambiti come i Big Data finanziari e la security. La categoria più ampia (60%) riguarda i servizi di banking (in cui rientra il lending insieme a conti bancari e pagamenti); per il 19% le start up si occupano di servizi di investimento, per il 5% di servizi assicurativi e per il restante 16% di altri servizi (marketing, big data, security, ecc.). La categoria banking ha ricevuto il 73% dei 26 miliardi di finanziamenti arrivati complessivamente al settore e quella del Lending&Financing ben il 60% di questo cifra, circa 15 miliardi.
Il 95% di queste start-up si rivolge direttamente al consumatore o a un’azienda – a un cliente finale – ponendosi come una concreta alternativa alla banca tradizionale e solo il 5% si pone come un fornitore o un collaboratore della banca.
Eppure una start up su tre ha avviato almeno una partnership con una banca con vantaggi reciproci: per la banca la capacità di innovarsi più rapidamente testando nuove strade con investimenti limitati; per la start up la possibilità di operare sfruttando la rete fisica sul territorio della banca o le grandi moli di dati bancari in maniera nativa. Nel breve-medio termine in questo settore però, anche per le banche che vogliano offrire servizi digitali, le regole le dettano i colossi Internet, secondo l’Osservatorio del Polimi. Per chi fa il nostro mestiere è un’occasione ghiotta – per le banche una questione di sopravvivenza.
Condividi