31 marzo, 2020

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Scritto da: Redazione Opyn

Effetti collaterali della pandemia: vola lo Smart Working

Una lezione che le imprese italiane stanno apprendendo a caro prezzo è che nei servizi lo Smart Working funziona e limita i danni del lockdown. Il FinTech si muove nel suo habitat naturale ed è riuscito, lavorando da remoto, a prestare i suoi servizi e la sua consulenza senza soluzioni di continuità. Ma il cambiamento è stato violento e ha messo in luce il potenziale di uno strumento verso cui la resistenza era inspiegabilmente elevata (a danno della competitività di imprese e Pubblica Amministrazione)

Mentre l’attenzione è puntata ancora sull’evoluzione della pandemia e sul punto di svolta nei contagi grazie alle misure di contenimento, è sempre più diffusa l’idea che il mondo che verrà dopo sarà diverso da quello che solo fino a poche settimane fa era normale.

Il lockdown sarà ridotto in maniera graduale e una qualche forma di contenimento sociale permarrà, così come non sarà immediato tornare a prendere un volo per passare un week end in una capitale europea o andare a un concerto accalcandosi su un prato. Il modo di vivere e produrre cambierà e il cambiamento in qualche misura sarà irreversibile. Quanto alle imprese, per esempio, l’attenzione al risk management sarà più elevata, così come la gestione sarà sempre più improntata a salvaguardare la business continuity. Le catene di fornitura saranno riviste e probabilmente in parte rilocalizzate, la logica del just in time apparirà superata e alcuni settori – i viaggi, la ristorazione – saranno costretti a rivedere pesantemente il proprio modello di business.

Uno dei maggiori cambiamenti che abbiamo sperimentato in queste difficili e dolorose settimane di lockdown è stata la diffusione massiccia e immediata – anche se non necessariamente efficace – dello Smart Working. La foto di Bill Gates che brandisce un cartellone con su scritto “This is Bill Gates working from home” è destinata a diventare iconica.

Sembrava solo a inizio anno ancora un’utopia per la maggior parte delle imprese tradizionali italiane e ora tutte, nei servizi, anche finanziari, hanno la forza lavoro che, praticamente per intero, produce da remoto. Hanno iniziato fin da subito i colossi, come Generali e Allianz che hanno svuotato già a febbraio le torri milanesi di Citylife. Zurich, Aon, ma anche Enel, Eni, Saipem hanno disposto che lavorassero da remoto tutti i dipendenti della prima zona rossa nelle regioni del Nord quasi contemporaneamente. Persino il Comune di Milano ha attivato lo Smart Working e da metà marzo un provvedimento del MIUR ha disposto che si procedesse l’anno scolastico con una vera didattica a distanza (con tanto di lezioni e interrogazioni) su tutto il territorio italiano.

Una rivoluzione vera e propria, che ci ha trasportato all’improvviso nel futuro. Il tempo ci dirà quanto efficace e duratura.

Il FinTech, dal canto suo, si è trovato nel suo habitat naturale. Perché il digitale è il nostro pane quotidiano: BorsadelCredito.it ha una sede fisica a Milano ma è riuscita fin da subito a spostare i processi in remoto, senza soluzione di continuità nei servizi ai clienti. Ci sono altre FinTech, come Soisy, tanto per fare un esempio, in cui il lavoro è impostato ab origine secondo questa modalità.

I nostri clienti, che da sempre sono abituati a un’esperienza completamente digitale, non hanno avvertito alcun cambiamento. Il portale è accessibile sempre, da remoto, 24 ore al giorno per sette giorni alla settimana. Tutte le operazioni, sia sul fronte della richiesta del credito da parte delle imprese, sia sul fronte dei prestatori, avvengono online: i contratti vengono siglati con firma digitale e le transazioni si realizzano direttamente sulla piattaforma, con assistenza immediata sia online sia telefonica.

Per il resto del Paese lo Smart Working era un’eccezione. Secondo l’ultimo Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano (che risale a prima della pandemia) a fine 2019 erano solo 570mila gli Smart Woker italiani, un numero ancora piccolo per quanto in crescita del 20% anno su anno. La percentuale delle grandi imprese che aveva avviato al suo interno progetti di Smart Working era del 58% a cui va aggiunto un 7% che avevano attivato iniziative informali e un 5% che prevedeva di farlo nei prossimi dodici mesi. Del restante 30%, il 22% dichiarava probabile l’introduzione futura e soltanto l’8% non sapeva se lo avrebbe introdotto o non manifestava alcun interesse. Poi nessuno ha avuto più scelta: lo Smart Working è diventato obbligatorio per continuare a lavorare superando d’imperio tutte le resistenze. Resistenze che rendevano troppo lenta, sempre a leggere l’Osservatorio, la crescita dello Smart Working e limitavano la modernizzazione del mercato del lavoro ma anche la competitività di PMI e Pubblica Amministrazione e l’inclusività e la sostenibilità delle città. Nel futuro, se sapremo fare tesoro di questa lezione che il virus ci ha insegnato a caro prezzo, molti dei problemi attuali per chi fa impresa, come quello di attrarre nuovi talenti – soprattutto in relazione alla necessità di sostituire circa il 15% del personale nei prossimi 3-4 anni – saranno superati.