23 gennaio, 2018

9 min di lettura

Scritto da: Redazione Opyn

Il marketplace lending made in Italy: a che punto siamo (e dove vogliamo arrivare)

Un bilancio della strada compiuta fin qui e qualche auspicio per il 2018

È uno dei quattro best investment del 2018 secondo Forbes: il P2P lending è sempre più sotto i riflettori di esperti e opinione pubblica. In questo post, vogliamo provare a fare un bilancio della strada percorsa fin qui e tracciare le possibili, auspicabili novità che ci attendono per l’anno appena iniziato.

1) Il primo punto che rappresenta un giro di boa per l’Italia è la riforma della tassazione approvata con la legge di Bilancio 2018. Ne abbiamo parlato dettagliatamente qui. In sostanza, il legislatore ha rimosso l’anomalia che fino al 2017 penalizzava dal punto di vista fiscale il P2P lending imponendo al prestatore di pagare le tasse sui suoi guadagni derivanti da questa asset class ad aliquota marginale sul reddito: dal 23% per redditi sotto i 15mila euro al 43% per quelli sopra i 75mila.Dal 3 gennaio l’aliquota unica è la stessa che si paga sui rendimenti che derivano da fondi comuni, bond e azioni: il 26%. Un dato che non potrà che fare bene al nostro settore e spingerne la crescita. Ed è uno degli obiettivi che gli operatori specializzati si erano posti a inizio 2017: obiettivo centrato.

2) Un secondo obiettivo del 2017 era quello di consentire l’ingresso, come investitori, anche agli istituzionali. Sul nostro blog ne abbiamo parlato approfonditamente, per esempio qui: i fondi di direct lending in Europa hanno erogato 13 miliardi di euro in prestiti alle imprese e hanno una potenza di fuoco di circa 54 miliardi. Le piattaforme come BorsadelCredito.it sono le candidate ideali a ospitare fondi di direct lending, ovvero fondi che eroghino credito all’economia reale e che siano investibili anche da investitori istituzionali. La nostra piattaforma è pronta a partire e lo farà nel corso del 2017. Poi dalle parole siamo passati ai fatti: il 17 ottobre abbiamo annunciato il lancio del Fondo Colombo, il primo fondo di investimento alternativo dedicato agli investitori professionali, che ha un obiettivo di raccolta di 100 milioni in 5 anni. Colombo è gestito da BorsadelCredito.it attraverso ART SGR S.p.A.; la banca depositaria è Caceis Bank. Sono previsti vari closing per i primi due anni e il calcolo del NAV due volte l’anno. Le quote minime di investimento variano tra 500.000 e 2.500.000 di euro a seconda delle classi di investimento. Colombo offre ritorni elevati (target netto al 5,5%), rischio contenuto e decorrelazione totale rispetto al mercato. Per l’Italia si tratta di una novità assoluta.

3) Un bilancio non è tale se non si fa una summa numerica: nel 2017 il volume del P2P lending italiano è cresciuto in maniera esponenziale e, soprattutto, sono nate nuove piattaforme e altre se ne attendono nell’anno appena iniziato. Una notizia che non può che far bene al mercato, rendendolo più efficiente. Per restare ai puri numeri, citiamo quello di P2P Lending Italia che rileva l’ingresso in una nuova dimensione per il comparto con l’ingresso di operatori importanti come Fifty (sconto fatture) e Lendix (prestiti alle imprese). Secondo l’osservatorio trimestrale del sito il mercato avrebbe toccato quota 111,5 milioni con un aumento del 40% trimestre su trimestre e del 267% rispetto a un anno fa. Il settore dello sconto fatture avrebbe generato 84,8 milioni negli ultimi tre mesi dell’anno e quello dei prestiti alle imprese circa 10 milioni di nuove erogazioni, rispettivamente quintuplicando e quadruplicando i numeri di un anno prima. In totale questi due settori valgono, dall’avvio del mercato, 275,4 milioni, che arrivano a 383 milioni se si aggiungono anche i prestiti personali. Si tratta di numeri che, per ammissione della stessa P2P Lending Italia, potrebbero sottostimare la portata del fenomeno. Iniziamo, cioè, a uscire dal recinto dei fenomeni di nicchia e a essere rilevanti, per quanto ancora piccoli rispetto a UK e USA (ma non particolarmente rispetto ad altri Paesi dell’Europa Continentale).

4) A proposito di Europa Continentale, su questa area del mondo puntano anche le pioniere britanniche del marketplace lending: il funding gap per le PMI è un problema sempre più gravoso. Nel Regno Unito, secondo Funding Circle, nel periodo da fine 2013 a Giugno 2017 lo stock netto di prestiti alle PMI anglosassoni da parte del sistema bancario inglese ha subito un decremento di 2,5 miliardi di sterline, la metà delle quali è stata erogata in compenso dalla piattaforma britannica ormai leader nel mondo. Secondo dati EBA elaborati da KPMG i prestiti bancari alle PMI europee sono passati dai 95 miliardi del 2008 a circa 54 del 2013/2014, mentre lo stato degli NPL in pancia alle banche non lascia presagire nulla di buono. E, per l’Italia, questa situazione è quanto mai esasperata. Lo spazio di crescita per le piattaforme che fanno credito alle imprese online è amplissimo: la stessa Funding Circle è convinta che l’Europa supererà il Regno Unito nei prossimi anni. Noi ci auguriamo che questo possa accadere quanto prima.

5) Abbiamo osservato, rispetto a inizio 2017, i primi segnali che l’Unione Europea si stia interessando al marketplace lending come alternativa per il finanziamento delle PMI. Non solo l’Unione Europa, ma anche il legislatore italiano, tanto che siamo stati chiamati in Audizione alla Camera presso la Commissione Finanze.

L’auspicio è che questo sia il primo passo per la creazione di una legislazione unica e univoca in ambito sia italiano sia europeo. L’unica norma che oggi regola il nostro settore è la sezione IX delle nuove norme sulla raccolta del risparmio da parte dei soggetti non bancari. In questa norma il social lending è definito come “uno strumento attraverso il quale una pluralità di soggetti può richiedere a una pluralità di potenziali finanziatori, tramite piattaforme on-line, fondi rimborsabili per uso personale o per finanziare un progetto.” Oggi le piattaforme possono operare se sono istituto di pagamento ex art. 114 TUB, intermediario finanziario ex art. 106 TUB o istituto di credito. E possono fare da intermediari nelle trattative personalizzate tra imprenditori e singoli finanziatori. Nelle disposizioni, approvate lo scorso novembre, c’è specificato poco altro. La mancanza di una normativa organica non potrà durare a lungo, visti anche i ritmi di crescita del mercato: una più spiccata chiarezza e completezza nella normativa faranno certamente da propulsore per una maggiore conoscenza e autorevolezza del mercato della finanza alternativa.

6) La cooperazione con le banche. Qualcosa si muove anche in Italia. Sono le banche maggiori, Intesa San Paolo, eletta da Forrester Research come una delle 7 banche al mondo più all’avanguardia nel settore della trasformazione digitale, grazie alla creazione del VC Neva Finventures e all’alleanza strategica stretta con The Floor, un incubator israeliano di fintech. La banca, attraverso il veicolo di VC, ha investito nella piattaforma britannica Iwoca, attiva nei prestiti alle imprese. Anche UniCredit ha creato il fondo Evo per investire nel mondo Fintech. La collaborazione con il Fintech per le banche è vitale, soprattutto con l’entrata in vigore della PSD2. Ma, a nostro avviso, sono soprattutto le banche del territorio che potrebbero beneficiare dei servizi erogarti via Fintech: auspichiamo la creazione come in Gran Bretagna, di un referral scheme che prevede che ogni richiesta di finanziamento fatta da una PMI e non gestita dalla banca debba essere segnalata alle piattaforme che possono offrire un servizio alternativo. Anche in questo caso, il legislatore ha in mano le chiavi per dischiudere un mercato.

7) Milano hub europeo del FinTech? Abbiamo perso la gara per l’Agenzia Europea del farmaco, ma potremmo ancora vincere quella per diventare l’Hub europeo del Fintech. Qualcosa, nel 2017, si è mosso anche in questo ambito, dopo gli appelli lanciati da Guido Rosa, il presidente dell’associazione italiana delle banche estere, per esempio qui e dal presidente della Consob Giuseppe Vegas. Qualcuno, segnatamente SellaLab e Copernico, ci ha messo il cappello, fondando il Fintech District, con l’obiettivo di sviluppare le società italiane ed europee di Fintech attraverso l’aggregazione degli operatori.

8) Resta un auspicio, mancato per un soffio nell’ultima legge di Bilancio: l’ingresso nei PIR. Un nostro cavallo di battaglia, che speriamo si concretizzi nel corso del 2018. Come nei britannici IFISa, derivazione degli Isa da cui i nostri PIR hanno tratto ispirazione, i panieri dedicati all’economia reale potrebbero (dovrebbero) contemplare una percentuale di P2P lending, ovvero prestiti alle PMI, pescando dall’intero universo di oltre 4 milioni di realtà che sono l’ossatura del nostro sistema industriale. A piccoli passi, il P2P lending sta diventando grande.