12 ottobre, 2017

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Scritto da: Redazione Opyn

Quando investire fa bene al mondo

Con la locuzione impact investing, coniata un decennio fa dalla banca di affari JPMorgan Chase e dal Rockfeller Institute, si intende un investimento in aziende, organizzazioni e fondi con la precisa intenzione di generare un impatto sociale e/o ambientale, oltre che il ritorno finanziario. Si tratta a tutti gli effetti di un investimento, dunque, con l’obiettivo di ottenere un guadagno, ma di un investimento dal cuore tenero perché mentre guadagna, l’investitore vuole creare sviluppo e benessere per ambiente e persone. 

Così l’impact investing viene usato per sviluppare l’agricoltura sostenibile; spingere l’approvvigionamento da fonti di energia rinnovabile; consentire l’accesso generale a servizi di base come casa, salute e istruzione; finanziare business per cui i canali tradizionali del credito non hanno orecchie o non riescono a servire con modelli obsoleti.

Dopo la grande crisi della finanza la cui onda lunga fatica a ritrarsi, l’uomo torna finalmente al centro.

Quanto vale questo mercato? Secondo Eurosif è la categoria che cresce di più nelle strategie SRI (social responsabile investments) e vale in Europa 98 miliardi di euro (novembre 2016), in crescita del 385% rispetto ai 20 miliardi del 2013. Secondo il Global Impact Investing Network, le 208 maggiori istituzioni (fund manager per il 67% e fondazioni per l’11%) che hanno contribuito alla realizzazione dell’ultima indagine, conclusa a maggio 2017, gestiscono 114 miliardi di impact investing asset, che è una misura affidabile di questo comparto a livello globale.

Sempre Giin rileva che la stragrande maggioranza di questi investitori professionali dal cuore buono hanno centrato o superato le attese sia in termini di impatto (98%) che di performance finanziaria (91%). Ed è aumentata di molto la disponibilità di dati su prodotti e performance e di opportunità di investimenti di alta qualità. Ma, secondo gli stessi investitori, la sfida è ancora trovare la corretta diversificazione nel mercato. In Italia, secondo le stime più accreditate, l’impacting varrà tra 1 e 4,8 miliardi nel 2017 e tra 4,2 e 8,4 miliardi nel 2020.

Numeri destinati a crescere ancora. Secondo l’ultimo World Wealth Report di Capgemini, i ricchi del mondo con un patrimonio di almeno un milione di euro si rivolgono sempre più a investitori professionali con una specifica competenza nell’impact investing. Globalmente, il 31% dei portafogli di questi paperoni già si basa sul concetto di “guadagno sociale” e circa la metà di essi vuole aumentare la quota di impacting nei prossimi due anni. Se si guarda agli under 40 la percentuale di investitori etici diventa del 40% e quella di chi vuole aumentare la sua quota in questo ambito arriva al 64%.

La parte del leone degli investimenti a impatto – in Italia e nel mondo – la fanno oggi le nuove forme di credito che rappresentano i due terzi del totale. Il marketplace lending può essere considerato una derivazione sofisticata e moderna della microfinanza perché si basa su un concetto simile: finanziare l’economia reale, ovvero imprese piccole ma anche grandi che non avrebbero altrimenti accesso alle forme tradizionali di credito (come quello bancario) né alle alternative, come obbligazioni o quotazione in Borsa, non sostenibili economicamente senza massa critica. In comune queste forme di credito hanno anche la caratteristica di impattare sulla società: un impatto facilmente misurabile attraverso i numeri delle aziende finanziate, da quelli di bilancio a quelli delle nuove assunzioni.

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